Una ragazza di diciotto anni ed uno studente di sedici anni. Un incontro casuale che porta il
ragazzino a cambiare per sempre la sua esistenza
“Gli aerostati” – Amélie Nothomb
Una ragazza di diciotto anni ed uno studente di sedici anni. Un incontro casuale, voluto dal padre del giovane Pie, alla ricerca di un aiuto scolastico per il figlio, porta il ragazzino a cambiare per sempre la sua esistenza: da quando entra in contatto con la brillante Ange, per il giovane studente liceale si aprono le porte della letteratura. Lezione dopo lezione, Ange mostrerà a Pie il mondo attraverso le lenti dei classici indimenticabili, dai viaggi di Ulisse ai sentimenti de La principessa di Clèves, dalle trasformazioni di Kafka alle passioni de Il diavolo in corpo. Ange e Pie si troveranno a riflettere insieme sul senso più profondo della propria esistenza, su ciò che vogliono e ciò che il destino sembra aver in serbo per loro, in binari apparentemente predefiniti. Ange sarà chiamata a domandarsi se la vita possa essere qualcosa di più che una rassegnata accettazione della solitudine, mentre Pie dovrà fare i conti con la propria rabbia repressa, i risentimenti verso un padre dispotico e una madre fatua. Con Gli aerostati, Amélie Nothomb scrive un racconto sorprendente fino all’ultima pagina, capace di cambiare direzione repentinamente, come la vita, dalla mite quotidianità alla tragedia esistenziale. In bilico tra la finzione narrativa dei classici della letteratura e l’apparente ordinarietà della vita, la scrittrice belga si interroga sul ruolo che le influenze esterne possono avere sulla definizione della nostra forma mentis. Può un buon libro alterare i nostri processi decisionali? Quanto un personaggio ben caratterizzato è in grado di indurci all’emulazione? E quanto, invece, ci spinge alla fuga, al rifiuto? Un romanzo che colpisce come un pugno nello stomaco proprio quei lettori figli della letteratura classica, coloro che da sempre vedono nel libro un mezzo catartico e didascalico, per dar vita a un mondo migliore. “Esiste una teoria letteraria secondo cui ogni romanzo è o un’Iliade o un’Odissea”. Bruxelles, Ange una giovane studentessa di filologia ha un nuovo studente a cui impartire lezioni private. Il liceale in questione, Pie, appare problematico su più livelli: è dislessico, e ha un’intelligenza caustica e sovreccitata, soffrendo tutte le difficoltà dell’età ingrata, certo, ma soprattutto la sua specifica situazione familiare. Ange, infatti, si scontra non tanto con le difficoltà del ragazzo, che grazie a lei non solo guarisce dal suo disturbo ma inizia anche a divorare grandi classici della letteratura mondiale, ma con l’invadenza di un padre sgradevole e l’assenza di una madre completamente alienata, figure iconiche che sembrano uscite da un campionario surrealista. Belga, naturalmente. L’esito macabro della vicenda sarà all’altezza della follia di certi paradossi magrittiani, di certe favole nere ensoriane, della tenera magia metafisica di Paul Delvaux.
È il 25 febbraio 2021 ed è uscito il ventinovesimo romanzo della prolifica scrittrice belga, una storia nera svolta con rinnovata audacia e schiettezza, ritornando
all’eleganza grottesca a cui ci aveva abituati agli albori della sua carriera. Amelie Nothomb, infatti, ci aveva deliziati con storie impossibili, fatte di dialoghi serrati e tesissimi alla Hitchcock, e tuttavia da qualche anno aveva deciso di mutare radicalmente le proprie coordinate stilistiche. Dalla crisi esistenziale inaugurata con La nostalgia felice (2013) la romanziera era uscita con un romanzo decisamente atipico: Petronille (2014). Dimentica la fervida immaginazione delle origini, le vertiginose avventure intellettuali che avevano stregato milioni di lettori, era passata al modello dell’autofiction, moda imperante in suolo francese grazie all’enorme successo di Emmanuel Carrère. Ad eccezione fatta per l’incursione favolistica di Riccardin dal ciuffo (a mio avviso il suo lavoro meno riuscito) questa tendenza non si sarebbe arrestata. Successivamente, infatti, questa vena realista con Colpisci il tuo cuore, I nomi epiceni, Sete, inaugura una stagione di classicismo ed essenzialismo ricercato, una certa serietà che aveva reso la sua penna più matura ma anche più spenta. Sono lavori affascinanti e ricchi di interesse specialmente per chi ama la scrittrice, ma che sembrano carenti di quella verve a cui ci lei aveva abituati con capolavori del calibro di Igiene dell’assassino,
Cosmetica del nemico, Metafisica dei tubi, per citare solo alcuni titoli fra i più noti.
Qualcosa cambia radicalmente con Gli aerostati, e lo vediamo (anzi, lo leggiamo) sin dalle prime pagine. Troviamo subito tutti i topoi della narrativa nothombiana: una adolescente precoce e solitaria, una famiglia problematica, passioni e odi viscerali, momenti commoventi e tragici che sembrano appartenere più a una commedia che a un dramma, ma che non per questo sono meno dolorosi. Ci affezioniamo subito ai due protagonisti, disadattati ognuno a suo modo, personaggi certamente astratti e romanzeschi che ci ricordano quanto il realismo in letteratura non possa prescindere da una ricerca metatestuale che è anche metapersonale. Ritornando alle solite ossessioni e proponendo un’ennesima variante dei soliti temi – persino delle solite considerazioni – Nothomb commette quell’errore che così spesso Ange rimprovera a tutti i membri della famiglia disastrata: una certa mancanza di realismo. La vicenda, infatti, è surreale e sviluppa una narrazione dove crudeltà e violenza si intrecciano in modo unico. Nella sua brevità assoluta scorre come un fulmine, una setta che in questa scarica rivela qualcosa di bello, di poetico, di sospeso. Lo vediamo attraverso il rapporto di amicizia fra Ange e Pie, etichetta che qui utilizziamo per definirlo in assenza di altre formule meno imperfette. Amore fraterno? Affetto filiale? Infatuazione? Nei romanzi della scrittrice i personaggi vivono sempre sentimenti estremamente articolati che non si traducono mai in fidanzamenti, matrimoni e provano sempre, come Nothomb stessa, una fortissima insofferenza verso tutto ciò che riguarda questo mondo di contatti forzosi. Quello che Ange prova per il ragazzo lei lo definisce “affezione”, qualcosa di sfuggente che sarebbe sbagliato congelare in un sentimento codificato, o ritenere qualcosa di meno intenso per questo suo essere aereo e indefinibile. In un certo senso è proprio come l’aerostato del titolo, qualcosa di bellissimo e magico che vola ma che è quasi impraticabile per l’incombente e inaggirabile rischio di esplosione. La letteratura non è il bene, aveva affermato Nothomb in un’intervista mesi fa. Georges Bataille aveva detto che la letteratura è il male, rappresentando e fomentando quella forza cieca e inarrestabile che risiede nel nostro inconscio e a cui noi diamo il nome di negatività, anche se in sé non ha nulla di negativo. Certamente ha qualcosa di distruttivo, ma non di negativo, semmai di liberatorio nel senso più estremo del termine. È sicuramente un rischio leggere, scrivere, vivere di grandi romanzi e moderne narrazioni, perché questo contatto ci espone a emozioni intense e rimosse che mettono in discussione il nostro modo di vivere e di pensare abituale. Grazie a Gli aerostati, in linea con quanto raccontato in tutto il corpus nothombiano, noi ci ricordiamo ancora una volta che le relazioni amicali e amorose sono più sfumate e complesse di come ci appaiono. Allora l’epopea che si citava all’inizio, che sia un’Iliade o un’Odissea, è proprio l’impresa quotidiana che riguarda tutti noi anche se in diverso modo: quella di destreggiarsi con il proprio sentire individuale all’interno di un sistema che incasella e divide il nostro magma di sentimenti e li astrae, negandoli. Che non sia la terra, ma proprio l’aria, il luogo destinato ad accogliere questo sentire chimerico? Volare e non fuggire con un aerostato che ci liberi da certe catene sociali che sono più anacronistiche di questo antiquato mezzo di trasporto.